IL MESSAGGIO DELLE MIE OPERE


Il messaggio delle mie opere

Sono consapevole dell’importanza sociale della mia arte, della spinta che le mie opere potrebbero produrre nella ricerca della giustizia. I grandi dell’arte nella storia hanno sempre occupato un ruolo di primissimo piano, parlando al popolo attraverso le loro opere, ma erano altri tempi…… L’effetto dirompente della mia arte poderosa non fa sconti, è feroce, è contro i politici e le loro ipocrisie, contro i ricchi, contro i poveri che insieme hanno sporcato il mondo, è contro quei popoli coglioni che si sono appecoronati alla cultura del male sotto forma di bene. Vorrei che la mia arte parlasse al popolo alla moltitudine e facesse breccia nella coscienza collettiva attraverso un linguaggio diretto, ma credo che il popolo italico non ci arriverà mai a capire il mio messaggio, perché è un popolo fallito insieme a tutti i suoi amministratori, giornalisti ed intellettuali. Come potrà mai capire il linguaggio delle mie opere che è volto alla ricerca della verità e della libertà? Quando loro stessi stanno rinnegando la mia e la loro cultura millenaria . E’ tutto compromesso l’arte è morta da tempo basta vedere la biennale di Venezia, in questa fase di profonda e pericolosa crisi culturale italiana, nella biennale c’è la diserzione degli artisti sugli argomenti più cruciali del nostro “mal vivere” è davvero inaccettabile. Dov’è finita l’Arte che parlava alla società ? Dove sono gli artisti non corrotti? Che fanno ? Di cosa si occupano? Perché latitano nei temi più bui ? Perché non prendono posizione? Forse in Italia tali uomini si sono estinti ? Se d’avvero l’Arte ha da sempre assunto il ruolo di messaggera di contenuti necessari alla società (e da questa desunti), allora ancora più grave risulta la pressoché assenza di un’arte relativa a questa precisa contemporaneità. In Italia (e non solo) dovrebbe esistere già da parecchi anni un tipo di realismo inteso davvero come denuncia dei misfatti del ceto politico, degli intellettuali, dei media, delle banche, dei poteri forti, delle associazioni, un realismo tenace, audace, risoluto, coraggiosissimo senza possibilità di replica, declinato in termini contemporanei, e invece…nulla. Oggi, ahimè,io sto cercando di dare con le mie opere al popolo dei messaggi più chiari, soprattutto nel linguaggio visivo che si avvale di altri codici (non verbali)ma la gente ormai è morta nell'anima e nel pensiero, quindi difficilmente capisce questi messaggi di libertà e di giustizia. Dove sono gli altri artisti ? Le gallerie dovrebbero traboccare di opere-denuncia, invece siamo ancora legati a vecchi modelli, alle istallazione del 1968 o, tutt’al più, ai soliti nomi della ormai “fù” transavanguardia degli anni ottanta (gruppo nato per volontà di Achille Bonito Oliva, no comment) . La mia denuncia è soprattutto rivolta all’ufficialità del mondo dell’Arte. Si perché esiste un’Arte ufficiale e un’Arte non ufficiale. Quella Ufficiale gode di tutti i benefici della visibilità e della storiografia, quella non ufficiale è sempre nascosta suo malgrado. Allora mi viene da pensare che se l’Arte ufficiale non risponde alle esigenze della società, vuol proprio dire che questa società è talmente vuota e imbarbarita che non può far altro che produrre vacuum e artisti altrettanto vuoti.
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martedì 4 giugno 2013

Globalizzazione la fine dell'umanità


Il mondo stava benissimo in piedi con dei governi autonomi, sovrani, con una cultura altrettanto sovrana, locale. Questi compartimenti stagni che dovevano proteggere popoli ed etnie e permettevano livelli diversi e appropriati di sviluppo, sono caduti con l’avvento della globalizzazione.
Le famiglie dei potenti della terra a cui si assoggettano i governi indebitati e quindi non più liberi, sono così riuscite a scardinare le nostre società nel profondo.

Siamo stati condotti al mercato globale, dove miliardi di schiavi sono privati dei piaceri della vita per sottostare a vincoli e desideri degli sfruttatori, cioè di quanti vogliono e cercano il potere per il potere; cioè
 il dominio sugli altri esseri umani.
Questi monopolisti dei commerci impongono i prezzi di tutti i prodotti attraverso semplici ed al tempo  stesso complesse manovre di speculazione sui mercati finanziari e le borse merci  sulle quali costruiscono le loro ricchezze.
Le nazioni assistono attonite all’intromissione di questi potentati, ufficialmente anonimi, in tutte le economie del mondo.
Scardinare le economie locali ha significato portare la società allo scontro fra individui di nazionalità diverse.
Con conflitti crescenti prodotti dalla competitività sono nate malattie di ogni tipo, che, come abbiamo potuto conoscere attraverso le leggi biologiche di Hamer, hanno creato popoli di ammalati cronici e quindi governabili con la paura.
Le malattie ci hanno privato di libertà, i farmaci ci hanno allungato la durata delle malattie.Le patologie, ribadisco,derivano come ormai appurato,dai conflitti e dalla paura, senza virus, nè batteri, nè funghi, sostanze e organismi questi, che si sono rivelati essere sempre esistiti. Anzi sono elementi utili e simbionti del nostro organismo.
E’ stata instillata nel popolo la paura, di perdere il lavoro, di perdere la ricchezza, di perdere la salute, di perdere i privilegi, di perdere le posizioni di vantaggio, di perdere la supremazia economica, di perdere il superfluo contrabbandandolo per essenziale.
E’ il diabolico gioco della globalizzazione quello di distruggere le civiltà attraverso un forte processo di integrazione razziale. La società americana ne è l’esempio più sconfortante. Una forzata integrazione razziale ha portato all’isolamento culturale e sociale dell’individuo non più rappresentato da una coesa e identitaria società antica di appartenenza, ma da una società apparentemente multirazziale in realtà governata da una razza “superiore” la razza detentrice del potere economico e di conseguenza politico.
Può sembrare un discorso generico e logico, in realtà e una considerazione dalla quale non si può prescindere.
Oggi ogni popolo che si è fatto permeare dalla globalizzazione, è caduto preda di un potere  finanziario globalista che lo ha letteralmente soggiogato ed indotto a comportamenti controproducenti per la sua stessa vita. E’ bastato ad esempio ai dominanti organizzare  un bell’attentato, in seguito al quale, invocando pieni e più forti poteri, ridurre  la basilari libertà dell’individuo.
“Mogli e buoi dei paesi tuoi” è un proverbio che dovrebbe essere riconsiderato nella grande saggezza che contiene. Infatti, dopo aver analizzato tanti casi, ho scoperto che se in una coppia non vi è un forte legame di appartenenza ad un modello sociale, culturale
, comportamentale,  ben condiviso, i casi di separazione aumentano enormemente.
La dissoluzione della prima cellula sociale, la famiglia, è dunque l’obiettivo dei dominanti. In quest’ottica si comprende la ostentazione dell’omosessualità e della vita da singoli, promuovendo edonismo, li
bertarismo sessuale esasperato ed esigenza di appagamento di vizi mascherati da diritti.
Con l’isolamento dell’uomo il Potere può portare alla dissoluzione le fondamenta della società, le comunità e le famiglie.  L’uomo isolato al pari degli altri animali sociali diventa estremamente vulnerabile. Vulnerabile significa facilmente governabile al limite della schiavizzazione.
Non saranno servite a niente a questo punto le ricchezze di conoscenza, storia, civiltà millenaria tramandata da generazioni fra le le popolazioni e la loro mirabile, incredibile evoluzione. La loro storia ad un certo punto sarà cancellata da uomini senza scrupoli. Costoro hanno fatto del dogma del diritto autoconcessosi tautologicamente in un delirio di onnipotenza, l’argomento per giustificare una presunta superiorità razziale. La nazione dominante ha adottato questa logica di superiorità razziale.
Popoli invasori si sono accreditati di essere superiori ad altri, di essere più intelligenti, tecnologici, capaci, colti.  Non sapevano i poverini che questa guerra di aggressione ai danni dei diversi, dei poveri,  avrebbe comportato per  loro il  caro prezzo di una malattia terribile che si chiama egoismo e che è alla base di ogni fenomeno di dissesto sociale oggi in atto. E’ una malattia che non risparmia nessuno, nemmeno quanti l’hanno generata, i dominanti.
Quanto sopra descritto, questa logica di vita globalizzata, vale non solo per l’uomo ma anche per la natura. La commistione di specie vegetali  provenienti da ogni parte del mondo ha prodotto un autentico sconvolgimento planetario producendo disastri ambientali con alterazioni delle biocenosi, la scomparsa di specie animali e vegetali, un autentico dissesto biologico. L’introduzione di specie esotiche anche se appartenenti allo stesso genere, ha portato ad una drammatica riduzione della ricchezza faunistica e floristica nell’intero pianeta. Potrebbe bastare questo esempio per indurci a pensare che siamo in una cattiva strada.
E’ evidente il parallelo con la specie umana.
Avendo individuata la primaria strategia dei dominanti sfruttatori ed opportunisti ecco che comprendiamo anche quali misure di sicurezza dobbiamo mettere in atto. Prima evidenzio però che da sempre la società si è difesa in gruppi etnici al fine di garantirsi coesione sociale, mutuo sostegno,  condivisione di una cultura locale che si evidenzia nella ripetitività di riti; gesti e tradizioni che garantiscono un sereno svolgimento di ogni attività della vita quotidiana.
Oggi lottare contro la globalizzazione imperante è, e deve, essere lo sforzo di ogni uomo che voglia fregiarsi di questo nome. La nostra società si difende solo così dall’estinzione.

Rifiutare lo scontro è oggi imperativo. Proteggersi e non invadere lasciando ai cretini la teoria dell’esportazione della sicurezza preventiva e della democrazia.
Presi fra colonizzatori e colonizzati gli italiani si dimenticano di esistere come comunità e si perdono dietro i miraggi del dio denaro. In una tale dissestata situazione sociale, carica di tensioni, la natalità dal ’95 ad oggi ha conosciuto un calo del 20%. Oggi su 1000 abitanti nascono solo 4 bambini. Se prendiamo un paese di 2500 abitanti avremo nella prima classe scolastica 10 bambini, di cui circa 5 saranno di nazionalità, lingua, abitudini, cultura, diverse dalla nostra. Immaginate un paesotto con una classe scolastica di 5-6  bimbi parlanti la stessa lingua, tre per sesso. Essi dovranno andare in un paese vicino per formare una classe scolastica e saranno già pronti per sentirsi isolati a casa loro.
Senza nemmeno la quantità minima di individui per trovare un amico, questi bambini soli saranno preda dei mostri globali che entreranno nelle loro case con l’ipod, il videogioco, la TV, internet. Mentre i loro genitori con occhiali fumè ingombranti, suv nere dai finestrini bruniti, con il cellulare all’orecchio, andranno ad affrontare la loro partita globale con competitori lontani di altre civiltà, famiglie e culture; anch’essi spronati a loro volta dalla fame e dal desiderio di rivalsa.
A battaglia vinta il condottiero del suv si accorgerà che avrà perso la possibilità di insegnare a vivere al figlio e da questo ne perderà il rispetto. Preso nella sua ossessiva guerra, avrà vinto la battaglia del lavoro nel libero mercato globale ma sarà rimasto senza truppa.

Non vi sarà futuro.
Spiegherà poi al ragazzo che ogni padre lavora per il figlio. Questi non comprenderà il motivo per cui se lui ha bisogno d’affetto il padre gli vuole dare denaro, come spesso avviene. Debole il ragazzo si rivolgerà ad amici diversi, di altre civiltà che non condividono i suoi valori e che come lui soffrono. Non riuscirà a raggiungere una condivisione di valori su cui costruire la sua cellula famigliare, il primo mattone che sostiene una civiltà. Non nasceranno bambini in queste condizioni. Le feste, le tradizioni, il ritrovo, il divertimento collettivo nelle svariate comunità locali hanno sempre costituito il collante, l’aggregante delle società.
Il finto pietismo dei politici che invocano integrazioni per motivi presunti umanistici dovrebbero comprendere che l’unico modo per far del bene agli individui è quello di conservare la loro integrità culturale, sociale, di comunità. La distruzione delle comunità è e resta il delitto più grande di una società che invoca la priorità economica a danno della dignità umana.
Ecco quindi come la globalizzazione sia da ritenersi la prima causa di devastazione sociale. Devastazione che diviene in seguito economica, per poi arrivare all’annientamento culturale dell’individuo; annientamento che si concretizza  nella predazione non già dei beni, come potrebbe fare un esercito invasore, ma del tesoro suo più prezioso, quello che lo rende irresistibilmente interessante  per uno o una compagna di vita e cioè: la sua sovrana autenticità di persona, il suo orgoglio di appartenenza, la sua autonomia di pensiero, la sua divinità di essere vivente libero e indipendente.
“Belle parole” direte a questo punto “ma in pratica cosa possiamo fare?”
Facciamo tutto quanto può convenire in ordine prioritario: alla nostra persona, famiglia, comunità o paese, regione, nazione.

Dobbiamo ascoltarci bene e fuggire dalle lusinghe del mercato mondiale della globalizzazione.
Conosco un amico dottore che ha studiato quasi 20 anni per uno straccio di laurea ma è un disoccupato. La sua specializzazione è richiesta in altre nazioni e lui ha scoperto di non essere disposto a buttare gli affetti, l’amore per la sua ragazza, la bellezza del vivere in un paesino a misura d’uomo, per andare in una di quelle insulse università americane che fanno ricerca su cose che alla fine interessano solo a chi ne sfrutta economicamente i risultati e che ti danno tutto quello che non ti serve a partire da un basilare, buon piatto di cibo quotidiano.

Essere noi stessi, fra persone che si esprimono nello stesso idioma, ci fa percepire il sottile piacere della vita, fatta di cose piccole ma che scaldano il cuore ogni giorno. Ogni momento che senti qualcuno che recupera la sua lingua antica,  e si esprime nella bellezza di un dialetto, che ti fa sorridere e che fa riemergere con una parola, una frase, una sfumatura dell’accento, in un attimo, la cultura dei nostri padri e madri, dei nostri avi antichi, e con loro le loro fatiche e sofferenze e le loro gioie autentiche di una vita circondata a loro volta dagli affetti.
Sono questi affetti accumulati in noi, che portano con se il calore e l’amore ricevuto dai nostri porogenitori, a donarci quella serenità di un mesto, sereno e appagante vivere quotidiano, rifuggendo dalla devastante logica della soppraffazione globalizzata. Solo la conoscenza può ambire ad uscire dal locale ma le radici devono rimanere la dove la pianta è nata. Il salmone deve poter tornare la dove la madre lo ha generato.
Amore locale, cibo locale, cultura locale, bellezza locale, sentire locale, solidarietà locale, lavoro locale, ambiente locale, divertimento locale, amici locali, perchè l’anima vuole restare laddove si è alimentata. L’anima non vuole essere migrante.

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